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martedì 31 agosto 2010, di Giuseppe Tallino
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“La tirannia non è una buona soluzione, né per chi la subisce, né per i suoi figli né per i suoi discendenti; essa piuttosto, è di per sé un fatto negativo. In effetti, solo gente dalla mente ristretta e servile, che vive e vivrà nell’ignoranza di ciò che è giusto e buono nei confronti degli uomini e degli dei potrebbe godere di guadagni ammassati illegalmente.” (Platone)
Siamo ingranati in un ambiente dove il profano soverchia il sacro. Viviamo nell’era “del dio quattrino che sbeffeggia e vince il Dio Trino.”
Sono affermazioni scontate e fattuali, purtroppo, quindi non deve crearci alcuno scompenso morale ammirare la statua del nostro Patrono traballare a destra e a manca.
E’ inutile opporsi agli edifici, ai castelli, alle fortezze già costruite. E’ inutile e ipocrita rinnegare il consenso ai politici ormai eletti.
Vincitori e vinti: con le giuste proporzioni siamo tutti complici del “bivacco quotidiano”.
Era necessario combattere prima.
Era d’uopo evitare a tutti i costi “l’intrufolamento” di quelle bislacche essenze nei contesti sacri e statali.
La medesima figura del Battista, sorretta in su e in giù per la cittadina dagli accollatori vestiti in rosso, è stata oggetto di un saggio del teologo Tiziano Izzo: questa duplice vicenda, saggio e rumor legati alla processione, rende chiaro come un semplice martello può divenire un arma per uccidere o un attrezzo per costruire rassicuranti case…
La presentazione dell’opera di Izzo “Giovanni è il suo nome” tenutasi lo scorso 25 agosto presso l’Aula Consiliare mi ha costretto alla riflessione sul binomio POLITICA-CULTURA . In passato è stato una combinazione idilliaca: forte. Adesso invece…
Con questo non voglio asserire ad una netta assenza di cultura nell’attuale classe politica (generalizzare è pericoloso…) però è sotto gli occhi di tutti un costante imbarbarimento. Chi guida i partiti, chi amministra i nostri comuni spesso ha prevalentemente capacità “faccendieristiche” : predisposizione a tessere fitte trame strategiche, bravura nell’attuare un mercato politico incoerente ma vincente, tensione al glorioso e massificante consenso demagogo. Sono qualità necessarie per chi oggi pratica l’arte di governo. In passato però a queste doti era affiancata la… cultura. La tipologia del “faccendiere” era accompagnata e controbilanciata dall’ “uomo dotto”.
Il ritiro sociale dell’uomo dotto, dell’ “uomo di scuola” ha contribuito alla trentennale crisi dei partiti.
Ripeto: è accettabile avere dei coordinatori intrisi di doti faccendieristiche ma è indispensabile avere a disposizioni “menti storiche”.
Il solitario faccendiere non sarà mai un capofila a 360 gradi: la sua leadership non sarà mai solida. Non riuscirà a creare il giusto e moderato consenso pubblico. Non potrà impiantare nella sua politica la doverosa dialettica. Al massimo potrà dare vita ad una sezione forzista…
Dove sono finiti i nostri uomini dotti? I nostri uomini di scuola? Certi si sono rintanati nei lori studi offrendo il proprio sapere a 15 euro l’ora (forse di più…), altri testardamente cercano di combattere pur subendo un costante pogrom cittadino, altri ancora si accontentano di commemorare la vittoria finale della fazione che hanno sostenuto, pur sapendo nel loro cuore di avere votato mestamente “un triste male minore”.
I vetusti dotti dovrebbero comprendere la necessita di rimettersi in corsa e di agire per il bene sociale.
Per plasmare un futuro accettabile, migliore del presente, è indispensabile avvalersi e farsi guidare dal loro sapere. Ed invece da anni hanno deciso di staccarsi dalla società contribuendo ad azzerare con il proprio scagionabile nichilismo le speranze di una cittadina che ha il diritto di rinnovarsi.
La “ripresa sociale” degli uomini di scuola sarà difficile, costellata da mille difficoltà, ma sono certo che in molti seguirebbero speranzosi il loro animo per bonificare la nostra “Amazzonia”
Giuseppe Tallino