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Scivolamento verso il buio dell’uomo contemporaneo

mercoledì 24 febbraio 2010, di redazione


è così che comincia
smottamenti in zone periferiche
cadute di corrente
lo scivolare del calendario verso il buio

il massimo esperto ritorna
e siede alla sua scrivania
ora lettre e precauzioni
non più dimestichezza corvina

ma appena alzi gli occhi al cielo tutto è certo
Orione e le sue ancore
e l’Orsa che si incrina all’incrocio degli assi

e guardi il polpastrello il viaggio dei suoi atomi
al big bang a questa zattera coerente

‘è così che comincia’ (pag. 14) è una poesia tratta dal volume ‘Verticali’ del poeta Bruno Galluccio, edito dalla prestigiosa collana della Einaudi l’anno scorso.

Poesia bellissima e terribile, ammaliante e destabilizzante, solida e mobile, nobile e quotidiana, chiara e oscura, che con le sue 4 partiture strofiche cattura il lettore e non lo lascia, nemmeno quando arriva al capolinea. Sì, perché al capolinea arrivano i versi ma non la mente del lettore che avendo acquisito una inattesa energia cinetica, continua a spingerlo in avanti, nella verticale su-giù. E rimane lì, sulla pagina bianco-nera a rimuginare sulle emozioni del viaggio conoscitivo – emozionale che la poesia produce. Tra l’altro l’assenza della punteggiatura favorisce il volo, come se il sacco dei versi rimanesse aperto a favorire il movimento ascensionale. E’ bella ed intrigate questa assenza perché dà l’idea di un flusso ininterrotto di coscienza e di ‘incoscienza’, alla maniera joyciana, di un processo razionale e irrazionale, di un’azione comunicativa pluricentrica fondata su cognition, suggestione, connotazione, su un formidabile materiale fonico e ritmico, tutto personale e ben impiantato.

La poesia ci parla di uno smottamento, cioè di uno sgretolamento, di uno scivolamento verso il buio. E’ questa la condizione generale dell’uomo contemporaneo, che ha perduto le sue certezze, la sua prosopopea e cade vorticando dentro un buco nero, dove non c’è più alcuna dimestichezza del corvo. L’immagine, ovvero le tre immagini iniziali, sono terribili e affascinanti che si chiudono con la certezza della fine di un’epoca, sintetizzata con il simbolo del corvo, che nella tradizione occidentale è collegato sia con la saggezza, la preveggenza e la lungimiranza, sia con la morte e la distruzione: le sue peculiarità lo fanno animale solare e notturno al tempo stesso. Si avverte in maniera crescente un senso di smarrimento e disorientamento, che si conclude con il bellissimo decasillabo ‘non più dimestichezza corvina’ (v. 8), il quale, a differenza di tutti gli altri versi, sul piano del ritmo ha una scansione binaria con tre accenti forti che avanzano incalzanti, solenni e quasi epici, comunque che danno forza e determinazione e rendono l’affermazione stentorea, regale ed inappellabile: tutto è chiaro nella non chiarezza di questi tempi obliqui, corti e claudicanti.

La sensazione di crisi è rinforzata anche dall’ossimoro finale della ‘zattera coerente’. L’accoppiamento della zattera, il simbolo della incertezza, del naufragio, della precarietà assoluta del superstite in balia delle onde, con l’aggettivo coerente è stridente e apparentemente contraddittorio; ma in realtà unisce efficacemente i due corni del conflitto: certezza del firmamento/incertezza dell’umanità e il lettore in un processo gestaltiano, oggi diremmo solistico, coglie il cozzo, lo affronta e lo metabolizza: tutto in una razione di secondo.

Mi piace anche sentire il fruscio del movimento della mente indagatrice che sale e scende, che va nel vasto universo, nel macrocosmo ove sembra che l’io trovi certezze e precisioni, che scende in basso, sull’uomo, su una parte infima del uomo, i polpastrelli e anche lì trova armonia e senso di pienezza. Ma se questo avviene sul piano della parola, sul piano del ritmo, invece, l’andamento ternario, con cellule anapestiche e dattiliche, sgretola dall’interno questa sensazione e crea uno strato di fluidità, che non dà certamente la sensazione di solidità. E’ come se i solidi perdano consistenza e il lettore sente il terreno venirgli meno.

Anche la ricorrenza nell’intero volume di gittate strofiche con tre immagini, con tre affermazioni, con tre versi contribuisce a dare idee di incertezze. Pare che il poeta abbia la necessità di fermare lo smottamento, lo sgretolamento e faccia ricorso a nuovo materiale per costruire una diga allo scivolamento verso il caos: è l’opera del carpentiere che vede l’abitazione crollare e si serve di nuova malta e cemento. Ma la casa è sottoposta a sotterranee scosse sismiche che la fanno oscillare tremendamente. La nuova malta e il nuovo cemento sono Orione, l’Orsa, la zattera coerente. Una gran bella poesia.

Giuseppe Rotoli

Bruno Galluccio è nato a Napoli. Laureato in fisica, ha lavorato in un’azienda tecnologica occupandosi di telecomunicazioni e sistemi spaziali.

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