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Il Capo del Partito dei Puri disse: “Mandiamo via tutti gli stranieri”, ma non avendo ancora il potere per farlo si limitò ad ordinare spedizioni punitive, attentati incendiari, assalti e ogni genere di azioni delittuose ai danni dei forestieri, provocando morti e feriti e diffondendo il terrore in tutti gli angoli del Grande Paese. Alcuni pensavano che queste azioni dovessero essere fermate prima che fosse troppo tardi ma la maggioranza dei cittadini era poco sensibile al problema, badava ai fatti propri ed evitava di prendere posizione. Il partito al potere, a sua volta, minirnizzava gli episodi e non prendeva provvedimenti nel timore di perdere le simpatie di alcune categorie di persone. Tale prudenza, o ambiguità, non venne premiata perché, alle nuove elezioni, il Partito Dei Puri ebbe la maggioranza dei voti. Appena salito al potere il Capo del Partito Dei Puri volle attuare il suo piano di Pulizia Totale e disse: “Via gli zingari” e gli zingari furono cacciati. Poi disse: “Via tutti gli stranieri” e tutti gli stranieri dovettero abbandonare le loro case, i loro commerci e rifugiarsi oltre frontiera. In breve tempo per mancanza di manodopera le campagne divennero incolte, le fabbriche cessarono l’attività e le città furono sommerse dai rifiuti. Tutti i servizi si misero a funzionare a singhiozzo, poi furono del tutto sospesi. La gente mormorava, ma sottovoce, nel timore di essere punita. In pubblico ognuno ostentava il proprio appoggio alle misure del Governo e in tale atteggiamento risiedeva, in definitiva, la forza di chi comandava. Il Capo del Partito Dei Puri, tuttavia, non era ancora contento e un giorno mise fuorilegge il partito avversario, ne confiscò i beni e mandò in esilio tutti i suoi aderenti. Questo provvedimento fu seguito subito dopo da un nuovo ordine: “Cacciare tutti gli storpi, i barboni e i drogati”. Allora una moltitudine di gente si accalcò nuovamente alle frontiere inseguita dagli sgherri. Quando questa nuova operazione ebbe termine il Capo del Partito Dei Puri pensò che si dovesse liberare il paese dalle persone di bassa statura e dagli obesi che non rispondevano al modello da Lui stabilito. E così i cittadini rimasti dovettero passare per l’Ufficio delle Misurazioni e coloro i quali non corrispondevano alle misure prescritte dovettero andar via. Ma il Capo del Partito Dei Puri non era mai soddisfatto. E allora furono cacciati anche i bruni e i castani e i contadini e i valligiani e via via tutte le altre categorie di cittadini colpite ogni giorno da nuovi decreti, finché rimasero solo loro, i Puri. Il novanta per cento e più della popolazione era stato bandito, quartieri interi, interi villaggi erano ormai disabitati. Trascorse un certo lasso di tempo. La vita, intanto, era diventata difficile per gli stessi Puri e il dubbio serpeggiava anche tra i seguaci del Capo. Qualcuno cominciava a scongiurarlo di ritornare sulle sue decisioni richiamando in patria i cittadini espulsi. Il Capo dei Puri non stette ad ascoltare, anzi prese la decisione più ovvia: ordinò di esiliare anche quelli del suo partito che non la pensavano come lui. Mogi e stupefatti si accalcarono anch’essi alle frontiere e furono allontanati. E dopo i gregari fu la volta dei piccoli delegati e poi degli esponenti più importanti. Tutti subirono la stessa sorte. Rimasero pochi uomini, impigriti dalla mancanza di lavoro, che costituivano il nocciolo del Partito Dei Puri. Ben presto anche questi cominciarono a lamentarsi poiché non c’era più nessuno da buttar fuori. Il Capo, naturalmente, non si fidava di loro e una conversazione ascoltata di nascosto lo convinse che sarebbe stato più sicuro se si fosse disfatto di quel branco di reduci. Ordinò dunque che lasciassero subito il Paese ed essi, trattandosi di gente abituata ad obbedire ciecamente, non fecero alcuna resistenza al nuovo decreto e andarono via senza tante storie. Il Capo del Partito Dei Puri rimase così l’unico abitante del Grande Paese. Si guardò intorno soddisfatto di averlo finalmente liberato da tutti gli elementi estranei. Era riuscito a fare ciò che tanti prima di lui avevano invano tentato. Un giorno, però, si accorse che esisteva ancora un altro sfuggito all’epurazione. Esso dimorava addirittura in lui e di rado, ma molto di rado, si affacciava alla finestra della propria coscienza. Per questo era il più pericoloso di tutti e doveva essere eliminato a ogni costo. Perciò, appena si presentò l’occasione, giacché non poteva cacciarlo, lo ammazzò con un colpo di pistola alla tempia.
(racconto pubblicato in Minima et Moralia, a. III, n. 2, Giugno 2000)
franco tessitore