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mercoledì 13 gennaio 2010, di redazione
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Ora che il compito ritorna in classe
dopo lo scempio di una penna impietosa,
rossa come gli occhi di satana,
dopo che il docente ha calpestato
i tuoi semi opachi,
il frutto del tumulto
di sangue e di pizzini,
il tre in latino ti avvicina all’abisso
e lì intravedi
i cadaveri della tua indolenza,
la tua nudità, mentre indifferenti
sull’aipod danzano le dita.
da La cenere in bocca (LietoColle, 2009)
Questa mia poesia, di 12 versi in una sola gittata strofica, risulta complessa e complicata e descrive l’indifferenza dell’alunno della società contemporanea dopo un insuccesso, dopo un inizio di fallimento, forse.
Il compito di Latino non è andato bene, è pieno di erroracci segnati dal rosso fuoco della penna del docente, che è visto come satana, cioè come il Male per antonomasia. Già questa iniziale comparazione la dice lunga sul come gli insegnanti sono spesso percepiti: portatori di malessere, di disgrazie, perché sono rimasti gli unici a porre limitazioni ad una educazione, si fa per dire, senza più privazioni, ma sempre più segnata dall’edonismo e dalla subalternità colpevole dei distratti e distolti genitori.
La similitudine della penna con gli occhi di satana è un’immagine insolita e originale perché richiede uno sforzo da parte del lettore nel concentrarsi sulla punta della penna rossa: una penna che lascia il marchio sul foglio e sicuramente sull’anima dello studente. Ad un livello più profondo pare che il poeta voglia mettere in guardia gli insegnanti stessi da un uso eccessivo della penna rossa per i risvolti che questa ha nella formazione dei pilastri della personalità, fino a diventare un totem e un tabù insieme.
La parte centrale della poesia induce a credere che lo studente abbia lavorato moltissimo sulla traduzione e vi abbia infuso sangue e passione: ‘il frutto del tumulto/di sangue’ (vv 6 - 7). Ma l’allocuzione successiva ‘e di pizzini’ smonta e distrugge l’idea dell’arduo impegno e cede il campo all’idea di disimpegno, di furbizia con il ricorso alla copia da foglietti scritti in precedenza e nascosti nei luoghi più impensabili. Qui i pezzetti di carta sono diventati ‘pizzini’ al fine di convogliare deliberatamente il senso dell’immoralità, dell’imbroglio della copiatura.
Questi pizzini sono il simbolo di una mentalità tutta italiota della truffa, della mistificazione e dell’apparenza. Non importa a nessuno, né allo studente, né alla famiglia, né alla scuola e nemmeno alla società che si copi un compito, un’idea, un progetto:tanto siamo nell’era del ‘copia e incolla’ elettronico. Non conta il sapere o il saper essere, conta sapere imbrogliare. Ma questa truffa all’intelligenza e allo spirito creativo è un danno che paghiamo tutti, l’intera comunità nazionale, perché è un furto alla fiamma della creatività, tant’è che da subito lo studente ne paga le conseguenze nefaste e si vede già cadavere, mentre una parte di questo zombi, le dita, autonomamente e meccanicamente continuano a muoversi su un nuovo aggeggio infernale l’ipod, prodotto dalla rivoluzione di Silicon Valley.
A ben rileggere la poesia, si ha la sensazione di un quadro quasi surreale generato dal meccanismo immaginifico, con la costruzione binaria della strofa, che avanza a duplice locuzione e duplice immagine. In questo andamento il lettore può avvertire un senso di spiazzamento continuo, perché mentre si dispone ad accogliere un’immagine, subito dopo è disorientato dall’altra che subentra dal tenore opposto. In più la scomparsa dell’io e la presenza di un indefinito tu completa il processo di spaesamento, proiettando il lettore in un territorio sconosciuto del sapere, che non è verificabile lungo l’asse del ragionamento logico, ma solamente percepibile sul piano delle viscere e delle impressioni.
Prof. Giuseppe Rotoli