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martedì 3 giugno 2014, di redazione
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Nei giorni scorsi è stato presentato presso la scuola media il libro di Paolo Albano e Antimo della Valle "La strage di Caiazzo", perpetrata dai tedeschi nei confronti di 22 innocenti. Non fu né il primo né l’ultimo atto di barbarie della II guerra mondiale. Quasi contemporaneamente, a dimostrazione che la furia nazista si scatenò su tutti i fronti, senza distinzione tra militari e civili, tra adulti e bambini, si registrò un altro tragico episodio in terra d’Albania che ebbe come protagonista suo malgrado un nostro concittadino. Dal 3 ottore, iniziarono le fucilazioni di ufficiali e sottufficiali italiani, culminate il 7 ottobre, data in cui trovava la morte il sottotenente Francesco Parente. Egli apparteneva al II Btg Ciclisti 129 Ftr e fu trucidato dai nazisti a Kucj, in Albania, insieme ad altri ufficiali della Divisione Perugia.
L’eccidio fu commesso dal Primo Battaglione del 99° Reggimento Gebirgsiäger, appartenete alla Divisione da montagna Edelweis, comandato dal maggiore Siegfried Dodel.
I militari italiani, alla ricerca di un porto dove imbarcarsi per la madrepatria, erano stati costretti a dividersi e a sostenere gli assalti sia dei tedeschi che dei partigiani a caccia di armi. Alla fine dovettero soccombere. Fatti prigionieri, tra il 3 ed il 5 ottobre furono fucilati 120 ufficiali e sottufficiali, tra cui il generale comandante Ernesto Chiminello, sulla spiaggia di baia Limione. Gli ultimi 32 ufficiali, dopo una fiera resistenza, furono catturati e fucilati il 7 ottobre a Kucj .(1)
In memoria del sottotenente Francesco Parente fu scritta quella che è la terza orazione funebre ritrovata tra le carte di don Francesco Montesano. Il manoscritto è senza data, così come quelli precedentemente pubblicati, ma verosimilmente risale al 7 marzo 1945, data che ricorre sul manifesto funebre che annunciava la morte del militare, riprodotto, come le altre immagini qui utilizzate, in http://www.grazzanisestoriaememoria.it/. La notizia, infatti, arrivò alla famiglia con un certo ritardo. Ed è addirittura di alcuni mesi più tardi, il 9 novembre ’45, la comunicazione che ricevette “l’arciprete” di Grazzanise dal confratello Massimo Gatto del Collegio Salesiano Astori di Mogliano V. (Treviso), il quale aveva appena appreso l’elenco dei giustiziati da un ex ufficiale che in quella occasione si era salvato.
Ecco quanto scriveva Don Massimo Gatto: (2)
“Rev.mo Sig. Arciprete, affido a voi il pietoso incarico a voler comunicare alla famiglia Parente, Via Giovanni Parente 15 Grazzanise che il loro Franco è stato fucilato con un gruppo di compagni in Albania il 7 ottobre 1943, per essersi rifiutato di continuare a combattere a fianco dei tedeschi. Il capitano di artiglieria Eraldo Calderio di Cavaglia Vercellese, loro compagno, superstite e testimone oculare, è deceduto poco tempo fa in famiglia in seguito a malattia. Fu lui che mi consegnò la lista di questi nostri primi martiri, subito dopo l’eccidio. Perciò mi faccio un dovere di pregarvi a voler comunicare alla famiglia il pietoso incarico, perché temo che il povero Calderio non abbia avuto il tempo di farlo.
In Fede -Don Massimo Gatto Salesiano ex internato Capp. Militare” .
Sulla storia e sul calvario della Divisione Perugia vi sono varie pubblicazioni, anche in internet, alle quali rimandiamo per chi volesse saperne di più. L’argomento esula dallo scopo di questo articolo. Del sottotenente Parente, studente in scienze coloniali e Cacciatore delle Alpi, la cui vita iniziò e terminò durante due guerre (era nato il 26 maggio 1917), c’è una documentazione raccolta dal nipote, prof. Francesco Parente, sempre in http://www.grazzanisestoriaememoria.it/ alla quale pure rimandiamo.
Nell’Albo d’oro dei decorati al valor militare della Provincia di Terra di Lavoro, a cura di Ottavio Morici è riportata la motivazione della medaglia d’oro al valor militare concessa a Francesco Parente, pubblicata già da giornali dell’epoca:
“Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, partecipava alle eroiche gesta della divisione “Perugia” nell’aspra lotta in Albania contro i tedeschi. Catturato insieme ai resti del proprio reparto, veniva condannato a morte per la resistenza opposta agli aggressori. Davanti al plotone d’esecuzione teneva contegno fermo e dignitoso. Colpito a morte da una raffica di mitragliatrice, trovava ancora la forza di gridare “Viva l’Italia”.
Albania, ottobre 1943”.
Questa la vicenda del soldato grazzanisano. E veniamo al discorso funebre di Don Francesco. Leggendo questa orazione si ha l’impressione di un testo già noto, di un qualcosa già conosciuto. E infatti vi ritroviamo concetti, immagini e addirittura frasi che abbiamo già lette nel discorso per l’altro militare Tullio Petrella.
Lo stile è lo stesso, caratterizzato dallo sforzo di produrre una atmosfera epica intorno al doloroso momento. Il personaggio e le circostanze tragiche della sua morte offrono il materiale necessario. Don Francesco riutilizza materiali linguistici e iconografici già ampiamente utilizzati, come prelievi da un salvadanaio di idee e figure retoriche: la figura idealizzata del caduto, i suoi specifici caratteri spirituali che ne fanno un personaggio fuori del comune, inattaccabile da qualsiasi ombra, la desolazione nella quale sono sprofondati i familiari, e disseminati qua e là piccoli voli poetici che non guastano.
Una ripetitività che rischia di diventare manieristica e non genuina, che si ritrova, come abbiamo detto, non solo nei concetti ma addirittura in frasi intere: “circonfuso da un’aureola più rossa di fiammeggiante aurora”, “Mai tormenta squassò la tua persona, mai volgarità sfiorò l’animo tuo, mai valanga distrusse o soffocò il tuo nobile agire, mai nebbia offuscò lo sguardo tuo”, “la beltà, che irraggia, la bontà, che conquide, la lealtà, che affascina,…”.
Delle tre orazioni fin qui pubblicate, questa è l’unica che ci è giunta interamente. Anche qui, nella parte finale, sono presenti delle correzioni ma il manoscritto, su tre fogli formato protocollo, è abbastanza chiaro e pulito.
Ecco il testo:
Nell’aspra terra d’Albania, vittima della barbarie tedesca, ancora una volta ministra d’inganni e di delitti, mentre tutto intorno ruinava e nel ciel ruggiva la bufera la più crudele, il 7 ott.re 943, tu cadevi, o Francesco Parente, mordendo l’acciaro, che tremendo con i patrioti d’Albania avevi impugnato, mostrando che l’itala gente custode ancora d’alto sentire, non serve gli affetti dell’uom crudele, di rie colpe lordo, che ad empie mete il corso rapido drizza e dai protervi petti fuga il rimorso; cadevi, ma dando di virtù, di ardire alte prove memorande contro gli estremi sforzi dell’uom superbo e più feroce della stessa ferocia, ma mostrando quel coraggio che mai non s’abbatte, che mai non si sommette (3); cadevi, ma circonfuso da un’aureola più rossa di fiammeggiante aurora, purificando con un battesimo di effluvi gli errori altrui, tu, che nel mondo passasti come raggio di sol pel cupo stagno, tu, avente la bellezza smagliante del garofano e l’effluvio che inebria. Mai tormenta squassò la tua persona, mai volgarità sfiorò l’animo tuo, mai valanga distrusse o soffocò il tuo nobile agire, mai nebbia offuscò lo sguardo tuo: con aristocratico orgoglio possedesti la beltà, che irraggia, la bontà, che conquide, la lealtà, che affascina, l’innocenza, che purifica, la fierezza, che domina, l’intelligenza che illumina.
Ed ora, per la tua dipartita. che non avrà ritorno, come oscurato è il cuore, come è afflitta l’anima di quanti ti conobbero e t’amarono, tu sei andato a congiungerti nel Cielo col padre tuo e con la sorella tua ma distruggendo l’essere della mamma tua, di tua sorella, dei tuoi fratelli, che alla ferale notizia si afflosciarono più fievoli dell’alga divelta.
Chi potrà mai lenire il loro dolore? Chi potrà alleviare lo spasimo loro? Li hai lasciati nella desolazione la più completa, nell’oscurità la più fonda. Essi più non figgeranno gli occhi loro negli occhi tuoi, non sentiranno più la tua voce armoniosa, più non godranno del fascino proveniente dalla tua spiritualità.
Quando, con l’aiuto di Dio, il tuo Giovanni, il tuo Armanduccio faran ritorno a casa, e, in un batter d’occhio, conteranno, e, vedendo che ne manca uno, chiederanno del loro Ciccillo e la risposta sarà data con le lagrime agli occhi, chi potrà consolarli? Chi potrà dar loro le forze per sostenere tanto dolore? Dal Cielo il Signore Iddio prima e poi anche tu. Avesti da Dio affidata, su questa terra, una missione, che assolvesti mirabilmente. L’opera tua nei nostri riguardi, però, non è terminata col finir della tua vita terrena.
Noi già sentiamo appressare all’anima, strisciando come serpi insidiose, ore fosche, già ne sentiamo l’alito pestifero e il gelido contatto; vengono più letali dell’ore dell’affanno e della pugna; gravano sullo spirito a guisa di un incubo affannoso o di cappa di bronzo, avvolgendo i moti del cuore in un’atmosfera muta e nervosa. Come a un soffio bruciante, cadono i petali delle idee eccelse, delle fervide speranze. Il cuore diventa una tomba ove dormono gli affetti più santi, ove agonizza penosamente un sogno: quel sogno per cui si benediceva esultanti alla vita e agli uomini, per cui si diventava più buoni, più dolci e generosi con tutti, e il labbro aveva sorrisi e preghiere, e l’occhio pulsava di gioia. Si avvicinano l’ore fosche: viene l’alito della morte. Immoti e impassibili, ci abbandoniamo alla morte dell’anima, così, senza sentire gli spasimi dell’agonia; così, suggendo passivamente il veleno esiziale; assaporando la voluttà del nulla.
Ma il sangue tuo, purissimo per atavismo, lo spirito tuo eletto ci ottengano dal Signore pensieri gentili, sentimenti magnanimi e pii, desideri di pace; ci ottengano dal Signore xxx xxx d’essere sempre noi i depositari del bello, del buono, del vero.
frates
Note:
(1) http://www.kuc.altervista.org/perugia.html
(2) http://grazzanisestoriaememoria.it/public/6342364_SOT._TEN._FRANCESCO_PARENTE.pdf
(3) Espressione presa in prestito da "Il paradiso perduto" di J. Milton.
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