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Don F. Montesano (7): il dovere di continuare la lotta contro i nazifascisti

martedì 9 febbraio 2016, di redazione


Un’eco, l’ennesima, della sofferenza interiore e del senso di isolamento vissuto da Don Francesco per l’ostracismo degli altri ecclesiastici del paese ma anche dei sentimenti patriottici che lo animano si coglie in un foglio autografo parecchio sbiadito, scritto a matita, evidentemente una bozza, di cui non si conosce la data precisa ma, da vari dettagli, si può dedurre che risalga agli anni immediatamente prima della fine della dittatura (’43-’45).
La quale dittatura lo aveva spedito al confino per “essersi espresso in maniera irriguardosa verso il Duce”, come riportato nel Verbale di Contestazione della Questura di Roma del 10 marzo 1939, XVII dell’Era Fascista.
Nel manoscritto Don Francesco avanza un’ipotesi misteriosa alla base della sua condanna. La vera ragione del confino è, secondo lui, legata a motivi “inconfessabili” da parte del fascismo che, se esplicitati, avrebbero dovuto comportare un processo alla Santa Sede (!). Nessun accenno a questi motivi: “Eppure – egli scrive - a chi considerava la causale del mio confino senza preconcetto appariva chiaro che la ragione doveva essere inconfessabile da parte del fascismo perché in caso avrebbe dovuto fare il processo alla S. Sede”.
Il documento di cui ci occupiamo oggi comincia proprio dal ritorno dal confino. E’ un testo di cui non conosciamo le finalità, se è una lettera, una memoria o una relazione, e non sappiamo nemmeno se sia un testo finito o parte di un discorso più ampio.
Comunque sia, il sacerdote si sofferma sulla lotta “meschina” che, secondo lui, gli portano i parroci del paese: “Tornato dal confino, permanendo il quale mi vidi abbandonato con [grande dispiacere e afflizione] da parte dell’elemento ecclesiastico, principalmente il parroco F. gongolava di gioia”.

Di questo stato di cose egli mette a parte, inutilmente, l’Arcivescovo di Capua: “Dall’aprile 1940 al maggio 1942 e per lettere e [oralmente] mostrai a S. E. l’Arcivescovo di Capua che una formidabile lotta interna mi sconvolgeva tutto l’essere per cui invocavo reiteratamente non uffici o benefici, ma d’essere allontanato da Grazzanise poiché volente o nolente la mia posizione mi portava a far della politica essendo considerato l’espressione dell’antifascismo in tutta la zona e di lavorare intensamente”.

Ritornano, dunque, il grido di dolore e le invocazioni di aiuto che abbiamo già incontrato in precedenza: “Ma si fece credere che io drammatizzavo puerilmente non vedendo che il mio era il grido, l’implorazione di chi sta per affogare. Non volevo precipitare, non volevo morire. Mi dispiaceva solo che chi [poteva] un giorno leggere nei miei occhi non seppe o non volle leggere
Quello che sfugge al prete è il motivo di tanto astio, dell’esilio in casa, potremmo dire, a cui è condannato e gli tocca l’animo più dell’esilio politico in cui lo aveva mandato il Regime.
E sì che egli fa di tutto per comportarsi in maniera cristianamente corretta, praticando la sua missione sacerdotale con spirito di servizio, addirittura colmando il vuoto lasciato dagli altri sacerdoti ed evitando tutte quelle situazioni che potrebbero nuocere alla sua rispettabilità.
“In questo periodo, cioè dalla metà del 940 alla fine del 942 portai io solamente, dico io, tutto il peso della parrocchia amministrando disinteressatamente e con alto spirito sacerdotale tutti i sacramenti di competenza sacerdotale insegnando molti canti liturgici al popolo assistendo fino all’ultimo respiro i moribondi di giorno e di notte, cosa questa ultima sconosciuta a Grazzanise poiché i parroci avendo altro da fare non possono perdere tempo prezioso vicino a uno che muore!
In questi tre anni circa pur lavorando intensamente per servire il parroco F., non facevo neanche una passeggiatina. ... Il popolo ... mi si era affezionato fortemente. Come non poteva essere così quando vedeva con quale sentimento servivo la Chiesa? Ma apriti cielo! … incominciò una lotta terribile e con tutti i mezzucci più vili! ... io, che avevo sempre creduto e sostenuto che bastava comportarsi bene per non temere attacchi [e avere paura] io credetti opportuno allontanare qualunque causale, che avrebbe potuto nuocere alla mia moralità
”.
E ancora: “Nel mese di settembre e ottobre sotto il cannoneggiamento in Grazzanise e Brezza io solo esercitai il ministero sacerdotale mentre i parroci scappavano o andavano come volgari delinquenti a rubare zucchero a Capua ”.
Don Francesco fa di più: “Per un certo tempo feci la comunione solo alle vecchie. Per dimostrare però che lo spirito sacerdotale in me non era scemato, sotto la canicola di luglio e di agosto del 1942, sotto la pioggia e intirizzito dal freddo a dicembre 1942 e a gennaio e febbraio 943 mi portavo a Brezza tutti i giorni stando Antropoli malato a Bellona” (*)

Pur mettendocela tutta per svolgere il suo ministero nel miglior modo possibile la lotta continua. E allora si rivolge nuovamente all’Arcivescovo nella speranza di ottenerne aiuto e conforto ma ricevendo solo “incomprensione”.
“La lotta subdola contro di me da parte dei sacerdoti di Grazzanise continuava senza che io dicessi o facessi qualche cosa. Scosso da tanta e tale infamia nell’aprile 1942 mi portai l’ultima volta da S. E. mostrandogli che la crisi psichica, crescendo, mi tormentava più fortemente. Ma trovai in chi consideravo un padre che avrebbe dovuto gioire della mia gioia e dolersi del mio martirio, lo stesso avviso e le stesse parole. A tanta incomprensione non resistetti, il collasso psichico incominciava. Come avevo perduto l’ideale amicizia così fu scosso in me l’ideale religioso. Mi veniva fatto tanto male. Ma il più gran male apportatomi è stato l’esser sorvegliato. Era tanto bello dormire era tanto bello non [sapere non sentire] vivere nel fascino, nel rapimento, nell’estasi dell’amore di Dio considerando gli uomini tanti fratelli. Mi diedi completamente alla politica per quanto i miei familiari fossero contrari”.

Ma don Francesco reitera la correttezza della propria condotta e denuncia la convergenza dei confratelli con “i mariuoli fascisti” allo scopo di danneggiarlo per “invidia, ambizione e gelosia”. “Che dal ritorno dal confino a pochi giorni fa niente ci sia stato da ridire sulla mia condotta, sta il fatto che mai un richiamo m’è venuto da parte delle autorità ecclesiastiche. Così i sacerdoti del paese vedendo che il popolo [xxx xxx] loro che io, poveri e imbecilli, possa diventare chissà che cosa facendo i politicanti; difatti si sono uniti ai mariuoli fascisti mi avversano con più forza quando io né parola né atto fo’ contro di loro. L’invidia, l’ambizione, la gelosia che cosa fanno fare L’ultimo paragrafo è dedicato proprio a coloro i quali tengono in pugno l’Italia pronunciando un atto di fede degno dei migliori patrioti: “COME ITALIANO HO IL DOVERE DI CONTINUARE LA LOTTA CONTRO I FASCISTI E I TEDESCHI , come sacerdote che il male non abbia sempre il sopravvento sul bene. Nessuna aspirazione mi anima, anzi, con lealtà e fermezza affermo che TOLTO DI MEZZO IL FASCISMO, SCACCIATO DALL’ITALIA IL TEDESCO, MI RITIRERO’ PER I FATTI MIEI , che nessuna intenzione di partigiano mi anima. Dietro tale leale e franca parola, scritta con scienza e coscienza, posso sperare l’agire degli amici sacerdoti nei miei riguardi, facendo mio ciò che ci riferisce il vangelo apogrifo (sic):” Il manoscritto si interrompe qui.

(*)Don Salvatore Antropoli, nato a Bellona il 18-3-1910. Nel 1941 ebbe la parrocchia di S. Martino in Brezza. Dopo l’otto settembre 1943 don Salvatore ritornò a Bellona. La mattina del 7 ottobre fu trucidato dai nazisti insieme agli altri 53 martiri del paese.

frates

nota: le parole in parentesi quadre [] sono una nostra interpretazione

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