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T. Maisto: la dialettica sui grandi e piccoli temi attraverso sistemi convergenti positivi

Una recensione sull’autrice che gestisce tra l’altro il blog cancelloedarnonenews

domenica 12 giugno 2011, di redazione


È tempo di portare i miei versi nelle strade”. Mirabai (poetessa indiana)

Ho bisogno di sognare!” questo il titolo della raccolta di storie di Matilde Maisto, raccolta che ci avvicina ad un modo di scrivere limpido, scorrevole, penetrante ma non privo di momenti di grande riflessione sul “senso delle cose“ che sono fuori e dentro di noi.

Le donne in passato ed ancora oggi hanno scritto e scrivono per soddisfare una propria insopprimibile esigenza personale, per comunicare a se stesse e agli altri, per capire gli altri, per il semplice ma nel contempo complesso piacere di articolare in parole un pensiero, per conoscersi meglio, per avanzare e far avanzare i propri ricordi, per recuperare i ricordi, per allontanare le paure, per avere uno spazio esistenziale proprio, per non cadere nelle maglie di una rete strutturale passiva ed asettica che le donne non creano, che le donne non desiderano costruire, che le donne non sentono parte di loro stesse.

Le donne come ieri anche oggi scrivono per rintracciare radici e trasmettere responsabilità civili e statuti parentali da una generazione all’altra. Le donne hanno accumulato un’eredità intergenerazionale, perché l’esistenza di una donna come quella dell’uomo è costituita dalle esistenze che le accompagnano, la storia di ognuno e di ognuna dà senso a quella di tutti, si allarga a comprendere l’esistenza di tutte quelle donne e quegli uomini che li hanno preceduti e tutti quelli e quelle che verranno dopo di loro.

La scrittura delle donne offre perciò conservazione delle proprie radici e profonda ed autentica conservazione della propria identità.
Le donne scrivono di quello che conoscono di più, di quello che vivono quotidianamente, allora Matilde nei suoi racconti fa scorrere la penna nelle pieghe dei propri ricordi, dei propri viaggi, delle proprie immagini familiari restituendo al lettore dei percorsi di scrittura dalle tonalità piene, luminose solo a volte occupate da “polveri nebbie” di sospensione, parentesi che permettono a chi legge di riprendere fiato e di riaprire la propria mente ed il proprio cuore alla lettura successiva del passo che segue.

Soggetti fondamentali in questi racconti tanti dalla famiglia, al viaggio, il ritorno, uno sguardo attento e scrupoloso all’intera dimensione del “cogliere di sé e degli altri”, una reciprocità nel raccontarsi e nel raccontare che passa dalle immagini a volte poetiche delle descrizioni alla forte lucidità del logos, passaggi che benevolmente impongono al lettore domande sui percorsi e cicli di vita .

Domande sottili e fragili la cui risposta non può essere immediata, non può essere sostenuta solo dalla lettura dei racconti, ma ha bisogno di un ulteriore momento di riflessione che possa circoscrivere la propria interiorità.

Penso che nello scritto di Matilde vi sia :«Sostanzialmente nei confronti dell’ambiente che la circonda un rapporto positivo, il suo voler essere donna parte integrante di un universo affettivo che rappresenti l’anello di unione in una realtà che nella sua frammentarietà va alla continua ricerca dell’Unicum e dell’Unità». Negli scritti di Tilde la dialettica ed il confronto sui grandi e piccoli temi non passano attraverso lo scontro bensì attraverso sistemi convergenti positivi.

Prima delle parole, prima dunque della narrazione scritta troviamo la trasmissione orale che appartiene da sempre al mondo femminile, il grande desiderio di esprimere forti emozioni e sentimenti riesce a superare nel libro di Matilde quella soglia “difficile ed inquietante” di scivolare nella banalità, niente nei racconti di Matilde è banale, niente è eccesso di descrizione, niente è esagerazione di contenuti.

I sentimenti della scrittrice e quindi i sentimenti di Matilde interessano il lettore perché superano la propria dimensione di vita per intrecciarsi alla dimensione esistenziale di chi legge, di chi resta attento a filtrare quei comuni sentimenti unici ed esclusivi di cui l’autrice ci parla in modo accorato.
Mi piace quindi terminare ricordando le parole di Antonia Pozzi quando dice: ”Oh le parole prigioniere che battono furiosamente alle porte dell’anima”, la parola un’esigenza insopprimibile che apre le porte dell’anima e la prepara a viaggiare, la prepara a costruire percorsi di conoscenza con noi stessi e con gli altri.

Le parole, quindi quelle del libro di Matilde, a volte fragili, a volte inquiete, a volte silenti, a volte ribelli, a volte non catalogabili, parole e narrazione che Tilde ci regala come un suo “atto di amore”, come sua dichiarazione di esser donna.

Adele Grassito

Il libro è in distribuzione gratuita qui

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