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A proposito di donne

venerdì 11 febbraio 2011, di redazione


La vita delle donne castellane del primo dopoguerra, è stata densa di sacrifici, di lavoro duro, priva di qualsiasi spazio per se stesse. Niente politica, nessuna rivendicazione, ma anche tanta naturalezza e voglia di vivere. Erano le nostre mamme, le nostre zie, le nostre sorelle maggiori.

Le donne che ora voglio ricordare sono quelle della mia generazione, o di alcuni anni più giovani. Mi limito, ovviamente, a quelle che conosco meglio, legate direttamente alla mia esperienza politica. Senza, per questo, voler diminuire le altre, con cui - mio malgrado - non ho condiviso alcun impegno.

Voglio parlare di quelle che nel Maggio del 1969 parteciparono da protagoniste alla “Rivolta Popolare” di Castelvolturno, perché sono una importante testimonianza del cammino difficile che le donne una volta dovevano fare per avere un ruolo attivo nella società, negli Enti e in politica. La spinta a scrivere, mi viene dal ruolo “abusivo” che oggi molte donne esercitano al vertice delle nostre istituzioni, dove troppo in fretta e troppo facilmente arrivano. Come pure tanti uomini.

Prima del 1969, a Castel Volturno non c’era stato nessun precedente che si potesse ricollegare a movimenti di protesta popolare. Bisogna risalire al Maggio del 1822, quando 150 donne (su trecento abitanti), “con bastoni, ronche e perfino con spiedi” si sollevarono contro gli agenti del generale Nugent, mettendoli in fuga. All’origine della sommossa c’era la limitazione dell’estrazione dei giunchi, la cui vendita era necessaria per la sussistenza delle famiglie. Anche allora, le rivendicazioni non furono isolate, perché esplosero contemporaneamente in molti municipi del Mezzogiorno, come espressione di un disagio diffuso tra le popolazioni.

Nel Maggio del ’69 - Maggio è un mese ricorrente! - le donne presidiarono la piazza assieme agli uomini, e parteciparono all’occupazione del Comune, coinvolgendosi in iniziative di lotta che si protrassero per tre giorni, di cui fu piena la cronaca nazionale. Erano numerose, decise a lottare per il cambiamento, per dare una svolta al paese. Stavano in prima fila, e minacciavano di non porre mai fine alla rivolta se gli obiettivi non fossero stati raggiunti. Lo schieramento delle forze dell’ordine non le intimidiva per niente. Infatti, non esitarono, come nell’ottocento, a mettere in fuga gli agenti, un senatore democristiano e il vice questore. (v. Dal fiume al mare).

Quell’esperienza non finì lì, in quei tre giorni di rivendicazioni (lavoro, sviluppo, acqua, fogne, lotta alle occupazioni demaniali, all’abusivismo edilizio…). Non finì, perché, superando schematismi mentali e tradizionali collocazioni politiche, subito dopo si iscrissero alla neonata sezione del PCI. Era la prima volta che le donne, molte ragazze, si aprivano alla politica, frequentavano una sezione, e parlavano dei problemi locali e nazionali. Partecipavano da sole, senza la tutela dei fratelli o dei genitori, in un luogo fino ad allora riservato solo agli uomini.

Il dibattito si arricchì di temi che, senza di loro, certamente non avremmo mai approfondito: l’emancipazione femminile, la parità dei diritti, le diversità… E poi, i temi della liberazione dei popoli oppressi, la fame nel mondo…Uno sguardo oltre i ristretti confini comunali. Già c’era stato il Sessantotto, e dopo pochi mesi ci sarebbe stato l’Autunno caldo. Quanti anni sono passati? Solo un attimo, rispetto ad anni e anni di emarginazione. La nostra sezione femminile diventò una delle prime in provincia. Ed era un’assoluta novità. Le donne partecipavano alle manifestazioni e a varie iniziative provinciali e nazionali… Si organizzavano autonomamente. Infatti, si riunivano tra di loro in una stanza sul piano alto del castello; oppure avevano incontri con dirigenti responsabili delle “politiche femminili”.

Fu una ventata nuova e, pertanto, dirompente, niente affatto semplice per quei tempi. Era fatale che le più giovani si ritrovassero anche al centro di polemiche, dicerie, sospetti…”Che vanno a fare, lì sopra?”. Un piccolo interrogativo, ma molto efficace per seminare una grande calunnia.

Un giorno il parroco ne parlò in una predica, preannunciata dal giorno precedente, e carica di allusioni. Fu nel corso della messa del mattino, quella frequentata soprattutto dalle donne. Quando, inopinatamente, fece un esplicito accenno al malcostume, alla droga… e alle riunioni sul castello, fu subito interrotto e vivacemente contestato da un gruppo di compagni, andati lì appositamente per sentire. Interruzione sacrilega!

Alle loro proteste, si unirono quelle delle donne, delle vecchiette, che si sentirono tutte offese, perché nonne, oppure madri delle ragazze che partecipavano alle riunioni. Il parroco velocemente si ritirò in sagrestia, e le donne uscirono dalla chiesa. Il fatto fece molto scalpore. Altri tempi!

La politica, ovviamente, fu anche il legittimo collante per nuovi rapporti tra i giovani, impensabili prima, perché avvicinava ragazzi provenienti da schieramenti contrapposti e invalicabili. Furono numerosi i matrimoni “politici” celebrati in quel periodo. Che, per la verità, sono tutti ben riusciti.

Erano determinate, le donne, desiderose di fare nuove esperienze, e senza discriminazioni. E così, rompendo una tradizione maschilista, negli anni settanta, avendo la gestione del Comune, nominammo le “vigilesse”. La notizia suscitò un forte clamore, e apparve, con le relative foto, su tutti i giornali nazionali. Di conseguenza, l’organico fu finalmente aperto alle donne anche per tutte le altre funzioni comunali.

Nel 1983 - ancora per la prima volta nella storia del nostro comune e di quelli limitrofi - una donna fu eletta nel consiglio comunale. Quella volta, all’opposizione. Poi ve ne furono altre, ed altre ancora. Si aprì, così, la strada della politica attiva alle donne, candidate in varie liste, con ruoli di responsabilità nei partiti e nelle istituzioni.

A me stesso, questi fatti - eccezionali per quegli anni - ora appaiono di ordinaria amministrazione, specie se consideriamo come il territorio, oggi, sia ricco di donne variamente impegnate nel pubblico e nel privato. Segno dei tempi. Ma “i tempi” vanno sempre storicizzati per capire il senso delle cose!

Nel corso della mia esperienza, ho sempre riconosciuto, doverosamente, che le donne sono molto affidabili, più degli uomini, sia nel lavoro e sia in politica. Nelle campagne elettorali le donne erano quelle che garantivano la massima propaganda, il caseggiato “a tappeto”, e la partecipazione festosa ai comizi.

Il nostro, forse, era un “socialismo romantico”, fatto di tante speranze, difficilmente realizzabili, praticato con “fratellanza”. Durante i comizi, molto spesso, le donne interrompevano: ”Facci sognare! Facci sognare!”, dicevano. Era il sogno di una generazione che vagheggiava un altro destino per il nostro paese. Ma a quel sogno - pure se con i naturali limiti - si devono molte realizzazioni, ottenute anche grazie all’impegno delle donne. I sogni, in politica, se ci si crede, diventano progetti. E poi realtà.

Ora quelle donne sono mamme o nonne. Ma non demordono. Sono deluse per come vanno le cose. Non c’è incontro occasionale da cui non parta un invito rabbioso alla lotta. Come una volta. E se ora ho deciso di ricordarle, è anche perché ho ritrovato molte di loro arrabbiatissime per il dileggio delle nostre istituzioni democratiche, per il malcostume e il degrado morale seminato in Italia da Berlusconi e dal berlusconismo... Perché si sentono offese nella loro dignità di donne e di persone impegnate nella società e in politica.
Perciò anche loro dicono: BASTA!

Mario Luise

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