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Una personale di Giovanni Leuci a Capua

venerdì 5 giugno 2009, di redazione


Una personale di pittura di Giovanni Leuci sarà inaugurata domani 6 giugno 2009 alle ore 18,30 nella chiesa di S. Salvatore a Corte in Capua. L’evento artistico dal titolo "L’arte di Giovanni leuci e il Settecento: Suggestioni della pittura tra Napoli e Capua" sarà preceduto da una manifestazione presieduta dall’Arcivescovo di Capua, Mons. Bruno Schettino, con l’introduzione dei sindaci di Capua, dott. Carmine Antropoli, e di Grazzanise, dott. Enrico Parente. Seguiranno gli interventi di
Giuseppe De Nitto (Arte e cultura a Napoli alla metà del ’700), Anna Solari (Arte e cultura a Capua nel ’700),
Salvatore costanzo (Appunti sulla tematica sacra dell’arte figurativa napoletana a Capua nel ’700),
Giorgio Agnisola (Aspetti del percorso artistico di Giovanni Leuci). Il coordinamento sarà di Luigi di Lauro.
La mostra resterà aperta fino al 14 giugno 2009 dalle ore 10.00 alle 13.00 e dalle ore 17.00 alle 20.00.

Notizie su Giovanni Leuci

Autodidatta, fin da ragazzo ha provato interesse per la pittura ed ha coltivato questa sua passione con grande impegno e talento. Non legato ad alcuna scuola accademica, né guidato da alcuno, ha voluto, invece, di sua iniziativa, scoprendo la sua intima vocazione, cimentarsi con la pittura.
Giovanni Leuci ha voluto e saputo esprimersi in un modo nuovo per l’ambiente che lo circonda.
La caratteristica principale delle sue opere è una traccia di tristezza e un vago senso di pessimismo.
Ha partecipato a molte rassegne pittoriche sia in Italia che all’estero, riportando ottimi successi, ma per il Leuci le vere soddisfazioni sono state le sue personali, una delle più importanti è stata sulla “Cappella Sansevero” di Napoli nel 1995.
Dopo aver lavorato ad una suggestiva operazione culturale "leggendo" graficamente uno dei più conosciuti monumenti napoletani: la Cappella Sansevero ne ha derivata una sequenza di 25 opere di grande suggestione, che sono al tempo stesso una citazione storica e un’operazione artistica.
In tale occasione è stata allestita una mostra-convegno presso la chiesa della SS. Carità nella città di Capua.
Nel 2002 inizia la collaborazione artistica con la chiesa di Capua, mediante la realizzazione di ritratti (olio su tela) di Arcivescovi e Cardinali. Tale collaborazione artistica è stata voluta per espresso desiderio di S. E. Mons. Bruno Schettino, Arcivescovo di Capua.

Quale artista autentico, in progressiva evoluzione, Leuci si appresta ad inserirsi a pieno titolo nel mondo di quell’arte che non sfugge a regole fondamentali di leggibilità e di comunicazione. Quell’arte che si oppone al postmoderno e serve di arricchimento al nostro spirito bisognoso di conoscenze rivelatrici di lezioni salutari…

Giorgio Agnisola

L’arte di Giovanni Leuci e il Settecento
Suggestioni della pittura tra Napoli e Capua

Davvero suggestiva la mostra di dipinti a Capua dedicata a Giovanni Leuci, artista largamente affermato, che collega la sua ultima collezione sacra ad autori del Settecento napoletano.

Negli spazi della chiesa di S. Salvatore a Corte, Leuci pone un’attenzione nuova alla dialettica dei rapporti tra le arti plastiche napoletane e quelle capuane attraverso un “trasporto pittorico” operato su modelli di due scultori settecenteschi, Matteo Bottiglieri e Giuseppe Sanmartino, le cui esperienze culturali sono rintracciabili attraverso percorsi geografici meridionali più ampi, che la moderna storiografia e critica d’arte tende solo oggi ad approfondire.

La capillare rivisitazione dei valori plastici imposti alla statua del “Cristo morto” che si conserva nella cripta del Duomo di Capua (1724), un bel marmo di forte modellatura eseguito dal Bottiglieri forse su disegno di Francesco Solimena, fa riemergere dall’ombra alcuni aspetti della personalità dello scultore napoletano ancora poco conosciuti su scala nazionale, e contribuisce a chiarire gusti e tendenze oggetto di interpretazioni lacunose o addirittura svianti da parte di taluni storici dell’arte poco attenti.

La pittura di Leuci, costituita per questa mostra da una splendida raccolta di tele (si contano sedici pezzi tutti quasi monòcromi), viene a patti con le radici dell’artista più autentiche; essa si presenta con le carte in regola e un linguaggio orgogliosamente autonomo, pronto ad affrontare gli appuntamenti dei prossimi anni.

Come accade spesso nell’arte di Leuci, un accentuato realismo e un deliberato ritorno ai modelli classici si accordano perfettamene. Certo è che sul corpo del “Cristo morto” del Bottiglieri, che appartiene ad una categoria a sé per eleganza compositiva ed energia plastica, Leuci si applica con tenacia, meditando senza posa sul modo di trattare la materia inerte del marmo attraverso i colori, la complessione, lo spessore psicologico del volto di Cristo.

Nelle sue immagini, l’anima si insinua fra le pieghe del marmo come sul modello dell’opera eseguita dal Sanmartino nel 1753 per la Cappella Sansevero a Napoli, se ne impossessa, vibra di una vigile tensione emotiva che dal corpo privo di vita di Cristo trae palpiti di calda sensualità.

Leuci declina, per così dire, il proprio repertorio decorativo per immortalare il velo sul Cristo giacente: la sofferenza colta nel marmo è rafforzata dal trattamento pittorico della superficie. Esegue col pennello il velo mancante, sostituendo con ”l’illusione pittorica” quello naturale che avrebbe dovuto avvolgere la figura di Cristo del Bottiglieri, creando uno straordinario effetto di realtà. Luci e ombre calano sul volto e sul velo delle sue figure, e lo spettatore sente che in un batter d’occhio potrebbero cambiare non solo l’espressione e l’atteggiamento, ma anche le pieghe disposte casualmente.

E’, quello di Leuci, un fenomeno tutt’altro che secondario che documenta e impagina l’arte figurativa sacra con rigoroso approccio metodologico, serrata indagine compositiva, sostanzioso apporto di esiti pittorici. E’ un qualche cosa che cede alla suggestione di una scena commovente, quasi un fenomeno della coscienza per cui il desiderio è imposto dall’esterno, dai fatti e dalle situazioni capaci di esercitare forti impressioni e sensazioni.

L’artista si accosta al trattamento della superficie del volto del “Cristo Velato” del Sanmartino, opera di altissima qualità che deriva forse da un bozzetto di Antonio Corradini, e non può esserci il minimo dubbio che questa cesellatura lo abbia ispirato a simulare il velo formato da una stoffa marmorizzata, secondo un procedimento inventato nel Settecento dallo stesso committente napoletano, il principe Raimondo di Sangro, singolare figura di uomo d’arme, letterato, sperimentatore ed alchimista.

Sta di fatto che nel rendere la trasparenza pittorica del velo che aspramente avvolge la statua del Bottiglieri, Leuci intuisce l’eccezionale virtuosismo del Sanmartino nel plasmare la materia marmorea come se fosse cera, riuscendo a suscitare un sentimento di malinconia, di commozione e di mestizia, ma anche di compassione e di pietà.

Nelle opere di Leuci il trattamento del volto di Cristo riflette di volta in volta una differenza di concezione in base alle diverse inquadrature prospettiche, come si può notare in alcuni particolari del capo o in quelli anatomici del viso, specie quando l’insistenza sull’asse obliquo della figura è accompagnato da altre diagonali. Particolari che rappresentano tutti un’occasione di sofferta introspezione, di muta fascinazione, solitaria interrogazione esistenziale, di ostinato scandaglio della propria intima sostanza umana.

L’attenzione dell’osservatore è interamente assorbita da un silenzio “parlato”: la barriera spirituale fra lo spettatore e l’opera cade, e il contatto è immediato e diretto. E’, dunque, una ritrattistica attenta, penetrante che coinvolge immediatamente lo spettatore. Il raffinato psicologismo delle diverse posture delle figure viene messo in evidenza dal morbido trattamento dell’epidermide e, soprattutto, dal diverso uso prospettico del volto i cui chiari segni di sofferenza sono sobriamente accordati su un sottile, sofisticato gioco di rapporti tonali, che sembra volgersi maggiormente alla ricerca di un significato morale e sociale dell’arte. Il tutto contribuisce a suscitare un senso di stupefatta incredulità di fronte alla morte.

Salvatore Costanzo

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