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4 Novembre 1918. Cento anni fa la fine della Prima Guerra Mondiale

sabato 3 novembre 2018, di redazione


“Comando Supremo, 4 novembre 1918, ore 12 Bollettino di guerra n. 1268 La guerra contro l’Austria-Ungheria che, sotto l’alta guida di S.M. il Re, duce supremo, l’Esercito Italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi, è vinta. La gigantesca battaglia ingaggiata il 24 dello scorso ottobre ed alla quale prendevano parte cinquantuno divisioni italiane, tre britanniche, due francesi, una cecoslovacca ed un reggimento americano, contro settantatré divisioni austroungariche, è finita. La fulminea e arditissima avanzata del XXIX Corpo d’Armata su Trento, sbarrando le vie della ritirata alle armate nemiche del Trentino, travolte ad occidente dalle truppe della VII armata e ad oriente da quelle della I, VI e IV, ha determinato ieri lo sfacelo totale della fronte avversaria. Dal Brenta al Torre l’irresistibile slancio della XII, della VIII, della X armata e delle divisioni di cavalleria, ricaccia sempre più indietro il nemico fuggente. Nella pianura, S.A.R. il Duca d’Aosta avanza rapidamente alla testa della sua invitta III armata, anelante di ritornare sulle posizioni da essa già vittoriosamente conquistate, che mai aveva perdute. L’Esercito Austro-Ungarico è annientato: esso ha subito perdite gravissime nell’accanita resistenza dei primi giorni e nell’inseguimento ha perduto quantità ingentissime di materiale di ogni sorta e pressoché per intero i suoi magazzini e i depositi. Ha lasciato finora nelle nostre mani circa trecentomila prigionieri con interi stati maggiori e non meno di cinquemila cannoni. I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza”.

Così il generale Armando Diaz annunciava la vittoria italiana sull’esercito austro-ungarico, che da un lato completava il Risorgimento italiano con il rientro di Trento e Trieste nella comunità nazionale, a lungo sperato, e dall’altro determinava la dissoluzione della monarchia imperiale articolata sulle due entità dell’Austria e dell’Ungheria.

La guerra italo-autriaca, peraltro, fu solo una parte di un più vasto conflitto che interessò l’intero continente e, non solo per questo, fu detta la Grande Guerra che, al di là della retorica da cui fu circondata negli anni successivi e, spesso, ancora oggi, fu una vera e propria carneficina.
“Una guerra le cui ragioni sono il peggior verso della meschinità: bramosia di territori da conquistare, rancori e rivendicazioni, lotte interne per il potere, interessi economici, corruzione politica e una ideologia di morte che sembrava aver contagiato governanti e intellettuali. Un conflitto armato che fu acceso da un manipolo di invasati, giovani terroristi e fanatici. Un conflitto mondiale che Papa Benedetto XV condannò come “inutile strage””. (Antonio Gaspari, recensione del libro “Maledetta guerra” di Lorenzo del Boca, in https://it.zenit.org/)

Essa costò complessivamente, secondo alcune stime, più di 9 milioni di soldati morti e oltre 21 milioni di feriti. Nonostante fosse una guerra combattuta prevalentemente dagli eserciti, i civili non furono risparmiati: quasi un milione morirono a causa delle operazioni militari e più di 5 milioni per cause collaterali (vedi l’influenza spagnola e le carestie).
L’Italia ebbe 650.000 caduti. Non c’è città piccola o grande che non riporti su una lapide un elenco dei propri morti. Anche per questo la Grande Guerra fu vissuta come evento nazionale intimamente partecipato. I morti di tutte le regioni furono l’unico aspetto che la resero tale. La popolazione era stata per lo più estranea al dibattito che aveva preceduto l’evento, dominato da interessi nascosti, da pochi esponenti politici, da futuristi che la consideravano metodo desiderabile di pulizia e di rigenerazione. Il giovane stato italiano, quasi del tutto agricolo e analfabeta, non comprendeva gli strepiti guerreschi (anzi le campagne reclamavano la presenza di tante braccia), ma subì senza resistere sia la decisione delle alte sfere politico-militari sia il successivo travaso di giovani dai campi alle trincee dove morirono a migliaia. L’ecatombe fu talmente grande che nel 1917 si dovettero chiamare alle armi i diciottenni, i cosiddetti ragazzi del ‘99. La guerra di posizione e l’impreparazione dei comandanti furono tra le maggiori cause di morte.
“In realtà i comandanti dei vari eserciti erano totalmente impreparati di fronte alla comparsa delle nuove armi, soprattutto la mitragliatrice. Per esempio il “generalissimo” Luigi Cadorna, comandante in capo dell’esercito italiano, era un convinto teorico dell’assalto frontale e di massa alle postazioni nemiche. Lungo l’Isonzo, nell’altopiano della Bainsizza, nel Carso, nel Trentino centinaia di migliaia di italiani vennero mandati al massacro per conquistare, quando andava bene, pochi palmi di terreno oppure la cima di una montagna devastata dalle bombe”. (Giancarlo Restelli, 4 novembre 1918. Finisce la Grande Guerra italiana).

La vita delle trincee, illustrata da tanti film e tante memorie, gli inutili e dispendiosissimi assalti alla baionetta, le immani sofferenze fisiche e psichiche e l’insensibilità dei comandanti spesso provocarono episodi di rifiuti e disobbedienza nella truppa. Sul fronte russo si innescò addirittura la Rivoluzione.
A questi episodi si rispose con fucilazioni e decimazioni che interessarono anche soldati innocenti, sacrificati sull’altare della disciplina e dell’orgoglio nazionale. Uno di questi casi si verificò anche nel 216° Rgt Fanteria a cui apparteneva un soldato di Grazzanise, Gaetano Gravante di Francesco.
Dopo decenni di oblio, negli ultimi tempi si è iniziato un dibattito e una riflessione su questo aspetto del conflitto. Si vanno moltiplicando le pubblicazioni che squarciano il velo su fenomeni di gratuita crudeltà e di giustizia sommaria non sostenuta da alcun elemento di legalità. Stime parziali fanno ascendere il numero dei condannati a morte a più di mille e a varie migliaia quello dei condannati a pene inferiori.

Come tutte le altre, la Grande Guerra non fu la prima né l’ultima, non risolse i problemi e costruì le condizioni per un nuovo e più generale conflitto, con altri milioni di morti, militari e civili, e disastri di ogni genere.
Il sacrificio di tante giovani vite divenne epopea nazionale, celebrata ovunque con grande intensità emotiva e partecipazione patriottica. Furono innalzati monumenti e intitolate strade. La “Canzone del Piave” di E. A. Mario, che aveva accompagnato la riscossa dell’esercito italiano, continuò e continua ancora oggi a evocare quella prova che portò al risultato sperato dopo la rotta di Caporetto.
All’immane carneficina anche Grazzanise contribuì in misura notevole con 59 caduti, non solo militari di carriera ma anche reclutati: contadini, agricoltori, artigiani, sottratti al loro lavoro e alle loro famiglie e mandati a morire sui monti del nordest per uno scopo che spesso sfuggiva alla loro comprensione. Alcune strade furono intitolate sia al firmatario del bollettino citato, sia a tre figure simbolo dell’irredentismo italiano: Guglielmo Oberdan, Nazario Sauro e Cesare Battisti, tutti condannati a morte dall’Austria.

Oggi rimangono, di quei tragici giorni, le lapidi, gli elenchi dei caduti, la toponomastica. Quella che una volta era celebrata come festa della Vittoria, dopo il secondo Conflitto Mondiale è stata intitolata come Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate.
Anche a seguito della composizione dei problemi dell’Alto Adige si è arrivati a un regolamento amichevole dei rapporti con l’Austria, culminato con l’entrata di questo paese nell’Unione Europea. Nonostante tutte le debolezze e incertezze, questa organizzazione politica ha assicurato 70 anni di pace, il più lungo periodo senza guerre in Europa (escludendo i Balcani).
Il nazionalismo portò fatalmente all’autodistruzione, che la ricorrenza del 4 novembre possa indurre alla riflessione per il futuro. Se non si sta insieme si sta gli uni contro gli altri. Non si è mai vista una via di mezzo, pacifica, fra le nazioni quando viene esasperato il proprio ego, la propria diversità (superiorità), il proprio preminente interesse a scapito dell’armonia e della solidarietà.

frates

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