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Da Raffaele Massaro a Giovanni Riccio... un ricordo in nome dell’amicizia

l’amicizia oltre la morte....

lunedì 19 maggio 2008, di paparente


Quello che segue non è un articolo ma una lettera pubblicata su "IL Mattino" di oggi 19/05/2008 a firma di Giovanni Riccio un uomo che ha condiviso con il ns.sfortunato concittadino Raffaele Massaro la sofferenza della malattia, quest’uomo si era ricordato, con dolci righe affettuose, del ns.compaesano nel giorno dell’inaugurazione dello stadio di Grazzanise a lui dedicato , ora purtroppo anche lui, come si evince dalla risposta del cronista, non c’è piu’ e credo sia un dovere ringraziarlo per l’amore mostrato verso il prossimo e forse..casomai dedicare una parola di consolazione per i suoi familiari:

19/05/2008 Addio a Giovanni, ma l’amor suo non muore

Essere cristiano, più che un’adesione razionale a una dottrina, è l’amicizia con una persona viva che dà sempre forza ai giorni. La conferma che mi ha radicato in questa scelta è stata la resurrezione di Gesù: la nostra speranza non è in un cadavere, sia pure eccelso, ma in un uomo che vive, anche se in una dimensione diversa dallo spazio e dal tempo. Questa dimensione non la capisco bene e mi fa paura: come il nascituro che, uscendo dal grembo della madre, piange perché appunto cambia dimensione. La morte fa paura oggi più che mai, è il grande tabù del nostro tempo che riduce la felicità al benessere materiale, con la conseguenza che la morte è considerata il più grande dei fallimenti. La resurrezione di Gesù mi ha insegnato a guardare la morte serenamente, come la nascita a una vita oltre lo spazio e il tempo; e la storia come un parto doloroso di una vita che si prepara non a finire ma a trasformarsi: la morte ci fa uscire dal grembo delle cose. Questo evento assolutamente straordinario credo peraltro che sia l’unica chiave di lettura storica (come rapporto causa-effetto) in grado di spiegare come è stato possibile che un profeta (fra i tanti) di una sperduta provincia dell’impero romano, morto fallito su una croce, con un gruppo di incolti pescatori abbia potuto far scomparire la religione romana, ridimensionato quella giudaica, affermato la dignita di ogni essere umano (basta pensare alla considerazione che si aveva a quel tempo delle donne o degli schiavi); senza la resurrezione, il rapporto tra causa ed effetto risulterebbe assolutamente proporzionato. Io credo nell’aldilà anzitutto col mio cervello. Ne sono profondamente convinto: non può finire tutt. L’esperienza che mi ha radicato in questa speranza è stata la morte di mio padre, inaspettata e fulminea. È allora che mi sono trovato davanti a un bivio; la disperazione o la speranza. È stata una grossa sfida. Mi dissi: se Gesù, uomo perfetto, è risorto, mio padre, Salvatore, non è finito nel niente. Questa sicurezza mi ha dato non un’insensata illusione, ma una speranza reale, fondata e gioiosa. Ricordo che questo mi diede la forza di proclamare le letture della Messa per lui con una serenità non alienata ma paradossalmente sofferta: «La notte - ha scritto Jean Guitton - non è altro che l’ombra della Terra illuminata dall’altra parte che non si vede». Capii profondamente la preghiera di Sant’Agostino: Signore, non ti chiediamo perché ce l’hai tolto, ti ringraziamo del tempo che ce l’hai dato. E chiese al prete di scegliere il prefazio (parte della Messa prima della consacrazione del pane e del vino) che dice: ai tuoi fedeli, Signore, la vita non è tolta ma trasformata.

Giovanni Riccio - NAPOLI

RISPONDE PIETRO GARGANO

Questo brano s’intitola «Amare oggi è ancora possibile?» ed è il testamento spirituale di Giovanni Riccio, che se ne è andato in pace pochi giorni fa, per un’improvvisa crisi respiratoria. Era amico del Mattino e mio da quando ci inviò una prima lettera in cui raccontava della sua malattia, del suo amore per la moglie e per i figli, del libro da lui scritto - «Come alle cinque e mezza del mattino» - per testimoniare che la lotta contro il male è un dovere; ma anche la sofferenza, per chi crede, può essere un dono del Signore. Ci sentimmo al telefono, prese l’abitudine di inviarmi quasi tutte le sere - lo faceva come tanti - un breve passo delle scritture, una riflessione, un pensiero. Ogni tanto spediva pure il bollettino medico, senza falsi pudori, e perfino la crudezza di certe diagnosi e di certi dolori non smorzava la sua speranza. Volevo andare a trovarlo, ma le mail serali si sono diradate, sempre più brevi. Brutti segnali, però sapevi che Giovanni era un uomo indomito. Pochi giorni prima inviò una lettera per raccontarci che uno stadio di paese era stato stato intitolato a un ragazzo che aveva combattuto con tutte le forze del corpo e dell’anima contro il morbo che lo prosciugava. Gliela pubblicammo subito. Poi una telefonata a dare conto dell’epilogo, e ora questo messaggio affidatoci - e le siamo molto grati - dalla moglie Giuliana. Ci mancherà, Giovanni, amico carissimo mai conosciuto a faccia a faccia - e ne resta il rimpianto, forse il rimorso - eppure vicinissimo. Oltre al ricordo ci resta questo scritto, significa che l’amore non muore. Che le nuvole lo accarezzino.

paparente

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