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Dai rifiuti al percolato

giovedì 3 febbraio 2011, di redazione


Dove c’è una discarica, c’è percolato. In qualsiasi luogo siano stati abbandonati i rifiuti, si è formato il percolato. La natura permeabile del nostro terreno ne ha reso facile la penetrazione e l’accumulo estensivo nella falda, per grandi superfici. Forse non del tutto esplorate. Molti territori sono come zattere galleggianti su melmosi laghi sotterranei.

Fatico a fare queste affermazioni, perché io per primo vorrei che non fossero vere. Ed ho la naturale titubanza di chi - pur dovendolo fare - teme di procurare un forte dispiacere a chi non sa. Ma la verità, purtroppo, è questa, anche se è una verità nascosta. Sta sotto i nostri piedi. Il silenzio, invece, sarebbe deleterio e omertoso.

Si è sempre parlato dei rifiuti, e solo dei rifiuti, lasciando il tema del percolato agli addetti, alle ispezioni degli organi competenti, e alla Magistratura. Non è stato mai affrontato adeguatamente - cosa è stata affrontata adeguatamente?! - privilegiando (?!), come scelta prioritaria, l’emergenza visibile dei cumuli di immondizia abbandonata, o delle discariche sature. Ma il male stava lì.

Ora i mezzi di informazione nazionale, in questi giorni, hanno dato un rilievo diverso dal solito all’inquinamento da percolato, con servizi che hanno preso lo spunto da una recente iniziativa giudiziaria. Infatti il giorno 28 gennaio u.s. la Procura di Napoli ha emanato una sfilza di provvedimenti restrittivi, che offrono all’opinione pubblica un ulteriore e drammatico spaccato sulla realtà degli impianti di disinquinamento e sulle condizioni del mare, inondato da tonnellate di percolato. Ma occorre dire che oltre a quella di Napoli, anche la Procura di S. Maria C.V. da vari anni tiene i riflettori accesi sullo stesso drammatico problema dei rifiuti e dell’inquinamento da percolato nella nostra provincia.

Per entrambe le province si conferma, quindi, oltre al generale inquinamento, anche quello specifico da liquami non trattati, di vaste proporzioni, in danno della falda e del mare. E’ la conferma preoccupante, di un delitto contro la salute della gente, contro l’ambiente e l’economia, che già si conosceva da anni. Ho la sensazione però - per difetto di informazione personale - che l’indagine sia rivolta solo al percolato “emerso”, e non già a quello “sepolto”. E di percolato sepolto ve n’è tanto!

Se ne parlo - come già altre volte ho fatto senza remore di sorta - è perché posso dare la mia diretta testimonianza territoriale sul problema, per l’esperienza fatta alla presidenza del Consorzio CE/4. Ho sempre la speranza di rendere un servizio utile alla collettività: altrimenti l’esperienza non serve a niente. E credo che nella narrazione sia possibile rintracciare il filo diretto che, partendo dai rifiuti, porta al percolato.

Il processo che dà luogo alla formazione di percolato, è naturale, sia per la composizione del cosiddetto umido conferito in discarica, che per le piogge che si riversano sui rifiuti. Il liquido che così si forma, ”cola” in continuazione. In una discarica costruita a norma, controllata, ben coibentata, il percolato va a finire in una serie di canali e pozzetti di raccolta. Da qui viene prelevato e trasportato all’impianto di depurazione. E’ un’operazione semplice, ma continua e molto costosa.

Per questo motivo, il percolato prodotto per circa trent’anni dalla discarica gestita dal privato, in località Bortolotto - considerata l’abnorme inondazione della falda - si ha motivo di ritenere che non sia stato mai raccolto e trasportato presso un impianto di depurazione. Solo nel 1995, per la prima volta, è stato sistematicamente prelevato e conferito all’impianto situato presso i Regi Lagni, allora funzionante. Ma era quello, appunto, della discarica pubblica da noi gestita, a partire dal’95.

Sicché, per tutti i decenni passati, il percolato aveva continuamente invaso la falda. Dove tuttora si trova.

Nel corso della nostra gestione, anche il biogas - altro prodotto naturale dei rifiuti - fu oggetto di trattamento. Infatti, veniva captato, convertito in energia calorica e successivamente trasformato in energia elettrica, immessa direttamente nella rete. Il processo è ancora in atto, con un notevole beneficio per la collettività.

Il Consorzio funzionava, allora, e a me sembrava che nell’intera Regione fossimo sulla strada buona: ad una svolta. Ma proprio per questo anche quell’esperienza, come tante altre, dopo una difficilissima pubblicizzazione, doveva essere interrotta, in ogni modo. Infatti, aveva spezzato il perverso intreccio tra rifiuti e camorra.

Come sia andata a finire, dopo, con la successiva gestione del Consorzio CE/4, è noto a tutti: i dipendenti da 20 passarono a circa cinquecento; il servizio non fu più efficiente (ma le tariffe aumentarono); la presidenza e la dirigenza finirono in galera. Anche i padrini politici sono in attesa di giudizio, e il Consorzio è fallito sotto una montagna di scandali e di debiti. La cronaca degli ultimi anni completa il quadro con un lungo elenco di reati accertati e raccontati anche dai pentiti di camorra, di appalti truccati, e di qualche omicidio eccellente.

Questa è solamente una stringata rievocazione delle vicende del Ce/4. Ricostruire il mosaico dei tanti Consorzi, provincia per provincia, per arrivare poi all’infinita “Emergenza rifiuti in Campania”, non dovrebbe essere difficile. Come non dovrebbe essere difficile immaginare la ricaduta sul territorio degli effetti di cattive gestioni dei rifiuti e dei derivati da rifiuti. Come il percolato. Le relazioni sono strettissime: non vi può essere uno scandalo dei rifiuti, senza lo scandalo del percolato. Tanto mi dà tanto!

Il lavoro della Magistratura, purtroppo, non basta, anche se fa molto. Infatti, non può andare oltre il perseguimento dei reati, avendo solo questa specifica competenza. E spesso si verifica che anche ciò non rappresenta una remora. Si ha bisogno, perciò, della presenza attiva sul territorio, del dispiegamento delle competenze degli Enti Locali e del severo controllo delle amministrazioni centrali e periferiche, associato a scelte politiche coraggiose, punto debole dell’intero sistema istituzionale.

Che dire ancora? La situazione è difficile! Ma certamente non bisogna nascondere la verità, anche se è scomoda, altrimenti il problema non si risolve mai. La gente deve essere posta in condizione di conoscere le cause che sono alla base della tormentata realtà e della drammaticità delle nostre condizioni di vita, per potersi opportunamente difendere. Bisogna dare atto ad Informare e ad Officina Volturno - riviste territoriali - che su questo tema non hanno mai tralasciato di informare e denunciare.

Ma non bisogna fermarsi alla denuncia. Dalla irrinunciabile conoscenza dei fatti, bisogna poi partire per organizzarsi e mobilitarsi, con tutti gli strumenti a disposizione: partiti, sindacati, gruppi consiliari, associazioni di tutte le categorie, comitati, gruppi culturali, mezzi di informazione… Tutti impegnati in una lotta duratura ed efficace, finalizzata a recuperare con un serio ed immediato intervento di risanamento - per quanto ancora possibile - l’ambiente, le condizioni igieniche del territorio e delle acque, e la salute dei cittadini. Di oggi e di domani.

Mario Luise

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