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Grazzanise, Chiesa S. Giovanni B.: nel 1737 si fecero debiti per sistemarla

lunedì 26 agosto 2024, di redazione


In questi giorni di festa patronale la Chiesa di S. Giovanni B. o anche Chiesa Madre, è oggetto di eccellenti cure. Questo ci induce ad anticipare qualche linea di storia che abbiamo in animo di approfondire più avanti.

La chiesa parrocchiale fu ricostruita “a fundamentis” nel 1730 quando erano parroci Fabrizio de Florio e Alessio Abbate, come attesta una lapide situata all’entrata di sinistra. Non disponiamo di documenti o testimonianze sull’edificio antico né sugli esecutori materiali della nuova costruzione. Tuttavia pare certo che essa non esaurì la necessità di porre mano ad altri lavori in quanto il pavimento era in terra battuta e l’ambiente irrespirabile a causa del fetore proveniente dalle sepolture.

D.O.M. / DEIPARAE VIRGINI AC DIVO JONI BAPTAE/ FABRITIUS DE FLORIO ET ALEXIUS ABBATE/ TEMPLI RECTORES/ POPULUSQ: GRAZZANEN/ A FUNDAM: INSTAURAVIT/ A. D. MDCCXXX/

A Dio Ottimo Massimo / Alla Vergine Madre di Dio e a San Giovanni Battista / Fabrizio de Florio e Alessio Abbate/rettori del tempio / e il popolo di Grazzanise / dalle fondamenta rifece[ro] / A.D. MDCCXXX

Tra i lavori volti all’abbellimento e all’arricchimento della nuova struttura religiosa si ha notizia della realizzazione dell’altare della Confraternita del SS. Rosario. Nel 1733 un economo della stessa, Teodoro Parrella, commissionò a Francesco Camillo Buonfanti, marmolario originario di Roma e impegnato, tra l’altro, in lavori presso la Cattedrale di Capua, l’altare in marmo ancora oggi esistente nella terza cappella della navata di sinistra. La spesa fu di 55 ducati da pagare in due rate (1).

Ma la chiesa aveva bisogno di ben altro, come accennato e come si evince da una serie di carte custodite presso la biblioteca della Curia Arcivescovile di Capua.
La costruzione del nuovo edificio ecclesiale non aveva risolto affatto i problemi del sito. Infatti, nel 1737 i parroci Alessio Abbate e Gaspare Parente sentivano la necessità di eseguire altri lavori all’interno della chiesa, in particolare la posa di un pavimento e il rifacimento delle sepolture. Per far ciò avevano bisogno di soldi e chiedevano un prestito di 150 ducati alla Sacra Congregazione da estinguere in cinque anni visto che le loro rendite derivavano da terreni ubicati in zone paludose e perciò soggetti ad annate infruttuose.
La richiesta veniva raccomandata il 10 febbraio (1737) dagli eletti di Grazzanise Giovanni Parente e Martino Pucino oltre che dal cancelliere Cosmo Parente. Essi dichiaravano che i Parroci avevano una rendita di soli 160 ducati, appena sufficienti al normale sostentamento, a causa dei pessimi raccolti avuti negli ultimi cinque anni. E tuttavia la chiesa aveva bisogno di un pavimento perché “sembra una spelonga”. Inoltre era necessario aggiustare la “sepoltura per il fetore che si sente” (2).

Gli stessi concetti venivano espressi il 3 maggio da un gruppo di cittadini non meglio specificati ma che dovevano avere un certo peso nella comunità (Angelo Parente, Antonio D’Abrosca, Donato Di Stasio, Agostino Raimondo e, di nuovo, Cosmo Parente cancelliere). “Nella chiesa non si può stare - affermavano - per il gran fetore, che vi si sente e sia orare senza notabilmente sporcarsi i panni nel pavimento”.

Evidentemente le cose non andarono bene nell’aspetto finanziario se il “Maestro riggiolaro Domenico Pardo della città di Mataloni” si sentì costretto a rivolgersi alla Curia per “ordinare” al parroco don Alessio Abbate il pagamento di quanto pattuito cinque anni prima, cioè 110 ducati per seimila “riggiole”. Dell’intera somma dichiarava di aver ricevuto solo 45 ducati.
Il fatto è che “li parochi pro tempore” si dichiararono impotenti a restituire anche il credito di 150 ducati che avevano ricevuto dalla Sacra Congregazione “per le pessime annate trascorse” e chiesero una proroga di altri cinque anni. L’”affittatore” Francesco Abbate aveva in mano del danaro, 15 ducati di don Alessio e 15 di don Gaspare che dovevano servire a quello scopo, ma era ancora troppo poco. I nuovi eletti del paese, Germano Leuci e Vincenzo Petrella, il 17 ottobre 1743 attestarono prontamente che “dall’anno 1738 al presente anno si sono patite scarsissime le raccolte… s’è venduto qualche tomolo di robba ma non è stato universale per tutti”.
La cosa finì male. Gli economi del Monte dei Morti di S. Eligio di Capua che avevano anticipato le somme per i lavori istruirono un mandato di sequestro sulla rendita annuale della parrocchia intestata a Don Alessio Abbate (da dare 10,36 ducati), a don Gaspare Parente (ducati 12,63), frattanto passato a S. Maria la Fossa avendo esercitato il ministero fino al 1740, e al parroco Cipullo (ducati 10,90) che vi esercitò dal 30 maggio 1740 al 18 luglio 1745.

note:
(1). Lucia GIORGI, Opere inedite del marmorario F. C. Buonfanti e dell’architetto G. B. Landini a Capua e dintorni, in Rivista di Terra di Lavoro - Bollettino on-line dell’Archivio di Stato di Caserta - Anno XVI, n° 1 - aprile 2021 - ISSN 2384-9290

(2). Prima del decreto napoleonico di Saint Cloud del 1804 i defunti venivano sotterrati sotto il pavimento della chiesa o anche in locali adiacenti appartenenti alle congreghe.

La foto in alto è presa dall’account Fb di Tiziano Izzo

frates

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