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Tra sentieri di nuvole e rondini, una silloge poetica di G. Nacca in memoria di G. Rotoli

domenica 14 marzo 2021, di redazione


Recentemente, in occasione della morte del poeta italo-americano Lawrence Ferlinghetti, abbiamo pubblicato un vecchio commento critico del prof. Giuseppe Rotoli, apparso su “Il Mulo”. Per pura coincidenza ci ritroviamo tra le mani una silloge poetica che Giovanni Nacca compose e dedicò, due anni fa, alla memoria del professore pignatarese.
Il libricino, agile nella consistenza (18 componimenti) e appassionante nei suoi versi, si intitola “Tra sentieri di nuvole e rondini” ed è preceduto da una nota del poeta ticinese Fabio Pusterla che, negli anni scorsi, fu nella cittadina calena, ospite dell’Associazione Amici della Musica, per la presentazione della sua opera, proprio con Rotoli e Nacca.
La preziosa raccolta di G. Nacca, pubblicata in un numero limitato di copie, è un viaggio a ritroso nel tempo a ricordare i momenti lieti e drammatici del rapporto con lo scomparso Rotoli, per gli amici ’Peppe’, in una struggente nostalgica consapevolezza del distacco.

Rotoli non è più ormai da quasi sei anni ma per Nacca, che con lui visse a stretto contatto in un fecondo sodalizio umano e culturale, questa verità è energicamente per quanto inutilmente rifiutata (“stanotte sei venuto a trovarmi”) perché “ci sono ancora pagine da scrivere”. I progetti che insieme ideavano e portavano avanti non hanno mai avuto, per lui, un termine, anzi li considerava preludi ad altre elaborazioni e collaborazioni. Sogni e progetti all’ombra di un destino crudele (“stavi sul ciglio di un baratro”).
Qui il Nacca è preso da un forte rimpianto, un senso di profonda malinconia. Si percepisce nelle parole dell’Autore la dolorosa e silente coscienza dell’imminente distacco “in quegli ultimi incontri / fatti di sguardi bassi / e smarriti sorrisi”. Il prof. Rotoli, infatti, già duramente colpito da un gravissimo lutto per la morte della diletta figlia Elisabetta, era lui stesso attinto dal male che lo avrebbe portato in breve alla fine. E affrontava questa situazione con eccezionale forza d’animo nel conforto della fede, ma anche con grave cognizione. Scrive Nacca: “Ci si salutava come se tutto / fosse già stato detto”.

Ma la morte è veramente definitiva? Finché si abita il ricordo di chi resta si continua a vivere. E Nacca ha l’impressione, a volte, di vederlo “svoltare l’angolo di Via Regina Elena” e attraversare una piazza “con i pochi superstiti di un tempo / che hanno bruciato sogni e bandiere”. Un altro rimpianto legato alla fine di ogni illusione giovanile e che ha determinato, nel caso dell’Autore, un lungo esilio, anche se non in senso proprio, un appartarsi in se stesso.

L’esilio volontario ha determinato un altro fenomeno che egli, peraltro, incoraggia e favorisce, quello di considerarsi quasi un fantasma tra la gente. Questo pensiero un po’ lo lusinga perché gli offre la speranza, diventato ombra lui stesso, di incontrare l’amico “in uno di questi luoghi / di silenzio e di nebbia, dove / con pazienza starai ad aspettarmi”.

Peppe non c’è più ma nonostante ciò, egli lo chiama, “dimentico de tuo essere d’ombra”. La sua grafia su carte sparse gli rinnova il ricordo di quando,"insieme si davano nomi alle cose, / luce alle ombre, malta alle parole”. Così Nacca si lascia andare al ricordo degli ultimi giorni “quando l’artiglio graffiava senza posa la linea della tua partenza forzata”, le ore di attesa, le “mezze parole” o di quando “in un lontano giugno in piazza” ricevette in regalo “un giocattolo di plastica”.

Il ritrovamento di un vecchio mazzo di chiavi lo illude che possa riuscire ad aprire una porta e farlo nuovamente tornare. C’è solo il problema di sapere quale sia quella porta. Si, sarebbe bello potersi incontrare, come quando l’amico gli apparve tanto tempo fa, in una “stonata” tuta mimetica. Infine, il poeta, che soffre intensamente per l’assenza della sua guida, chiede “come farai a scrutare i miei / tormenti” e “come farò a camminare / nella preghiera delle suore, / leggere i tumulti di una tempesta, / risentire l’eco delle fatiche / campestri della nostra stirpe”? E immagina di cercarlo dappertutto e di attendersi un segnale che gli indichi dove si trova, perché senza il suo aiuto “saprò smarrirmi ancora”.

Alla fine, un’immagine di serenità per finalmente acquietarlo. Lo vede, sembra reale, mentre percorre i corridoi della scuola dove insegna o mentre fa velocemente l’appello perché “nemmeno lì ti piace perdere tempo”. Purtroppo nessuno risponde “presente”!

I versi liberi di Nacca trasudono rimpianto e pena da ogni parola, sono carichi di sofferenza e compassione ed hanno un forte impatto sull’animo del lettore, specie di chi, come noi, ebbe la fortuna di godere dell’amicizia del prof. Rotoli, di cui conserviamo il ricordo della sua preparazione culturale, della sua pacatezza e della sua umanità.

frates

Giovanni Nacca vive a Pignataro Maggiore. Ha al suo attivo diverse pubblicazioni (La linea spezzata, Faloppio (CO.), 2006, Feritoie, Milano 2010, Meteorologie, Capua (CE) 2014). Incluso in diverse antologie e riviste, ha collaborato con la cattedra di Storia della critica letteraria, presso l’Università degli Studi di Cassino. Ha organizzato numerosi eventi letterari. Sue poesie sono state lette durante la trasmissione Zapping di Radio RAI1. Ha curato una rubrica di recensioni librarie “Un libro sul sofà” sul sito dell’Associazione Amici della Musica di Pignataro M.

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